23 Marzo, ore 12.15
L’Oro Blu e crisi internazionali: cambiamenti per i Paesi del Mediterraneo
Pensiamo in genere il deserto come la terra della desolazione, abbandono e agonia, eppure due miliardi di persone vivono nelle aree desertiche. La maggior parte oggi dipende dall’acqua importata da fonti esterne. Tuttavia nei deserti esistono ancora luoghi dove le risorse idriche sono prodotte localmente. Questi ambienti sono chiamati Oasi. Non sono un risultato del caso; dipendono da attività attentamente progettate e meticolosamente mantenute. L’esistenza di un’oasi è dovuta a un’organizzazione e una gestione dinamica degli ecosistemi per realizzare, dove regna l’aridità, nicchie e micro ambienti utilizzando conoscenze e abilità altamente elaborate. Sono il riflesso di una raffinata consapevolezza del luogo trasmessa attraverso le generazioni tramite informazioni non scritte incise nella vita e cooperazione familiare e il sistema simbolico. Le oasi costituiscono la più grande sfida lanciata dall’umanità per la sopravvivenza in situazioni estreme conservano le tecniche collaudate per la produzione e gestione dell’acqua proprio dove essa è più rara. Quindi parlo di acqua, dove per la maggior parte delle persone, l’acqua non c’è.
Nel deserto, una piccola quantità d’acqua fa la differenza tra la vita e la morte. Per iniziare un’oasi si raccoglie l’acqua usando le sottili leggi della natura. Una depressione viene scavata e protetta tutt’intorno con foglie di palma secche. La notte l’umidità si condensa sulla sabbia del deserto e una palma da dattero viene piantata. Questa fornisce l’ombra, crea un microclima, protegge il
suolo, attira gli insetti che insieme al decadimento delle foglie realizzano l’humus, trasformando la sabbia in terreno fertile. Così possono attecchire gli alberi da frutto e gli ortaggi… e un’oasi nasce. Anche la palma da dattero non è spontanea; è un prodotto dell’umanità, il risultato della selezione e domesticazione. Inoltre abbandonata a sé stessa rimane un cespuglio senza tronco. Se le foglie non vengono tagliate, non cresce ad albero e non produce ombra. Nel deserto la stessa impollinazione da parte degli insetti è insufficiente e gli abitanti delle oasi, in un rito che si ripete a ogni stagione con canti e cerimonie, fecondano la palma strofinando i fiori maschi su quelli delle palme femmina.
Differenti metodi sono applicati per la produzione dell’acqua. Tunnel sotterranei per captare i micro flussi sotto le sabbie, ammassi di pietre per condensare l’umidità notturna e anche veri e propri pozzi aerei che assorbono il vapore dall’atmosfera. Attraverso la creazione del palmeto si instaura un processo di accurata produzione e amplificazione delle risorse. È l’effetto oasi: la creazione di
un ciclo autopoietico, autosufficiente e virtuoso. Quando l’acqua dipende da meticolose tecniche di raccolta e da un’attenta gestione e sistemi di distribuzione, la sopravvivenza umana è il risultato diretto della cooperazione. Senza alleanze e mutualismi familiari, le oasi non possono esistere. Lo stretto legame tra l’esistenza umana e l’armonia naturale impone una serie di interdizioni, vincoli e
prescrizioni, poiché anche i gesti più comuni aiutano a mantenere l’equilibrio generale. In un’oasi, le relazioni tra microcosmo e macrocosmo, tra orto e giardino, produzione e contemplazione non sono concetti filosofici ma realtà quotidiane basata su specifiche necessità materiali. La corrispondenza tra la persona, l’oasi e il mondo stabilisce un’alleanza tra cultura e natura. Simbolo e tradizione diventano testimoni e custodi dell’armonia del cosmo. Usando questa visione e consapevolezza ho ricreato oasi completamente abbandonate nel Sahara. Sulle immagini aeree abbiamo riconosciuto in luoghi abbandonati del deserto le tracce a forma di grafo sul terreno delle strutture tipiche delle oasi, gli stessi simboli ricorrenti nei tappeti e l’artigianato. Erano i resti di tunnel di raccolta, canalizzazioni e giardini. Camminando la mattina presto le croste di sabbia hanno confermato tracce di umidità. Così abbiamo individuato le strutture sottostanti ed è stato possibile ricostruire l’antico sistema. Ripristinati i tunnel di raccolta l’acqua è sgorgata di nuovo. Le persone sono tornate, piantato le palme e ricostruito le oasi. Un’area deserta ha ora acqua, palmeti e campi coltivati.
L’oasi mostra come la vita sia frutto di processi di cooperazione, simbiosi e inclusione, del rispetto e consapevolezza di leggi sottili e invisibili. In una goccia non vediamo quello che l’acqua è realmente, sperimentiamo solo un aspetto contingente di una delle sue molteplici forme, un momento della sua realtà. Perché l’acqua non è una sostanza è un ciclo, così come tutte le altre
risorse. Ci sono paesaggi d’acqua formati dall’acqua nell’atmosfera, quella sotterranea, quella libera o racchiusa nei ghiacciai, negli organismi, nella materia, e in tanti altri suoi diversi stati: tutti parte di un unico ciclo complessivo. Sulla interazione e complessità dei fattori, sia fisici che intangibili, da cui dipende la vita si basa la progettazione dell’oasi. Ai tre piani spaziali: di superficie, atmosferica e sotterranea si aggiungono le componenti immateriali formate delle relazioni sociali, commerciali, simboliche. Gli aspetti fisici e immateriali sono profondamente legai tra loro in relazioni dinamiche formando una realtà multidimensionale molto ampia. Infatti le oasi, pure se formate da comunità a piccola scala, non sono mai isolate; la loro esistenza si basa sulle relazioni tra lo spazio del coltivatore con l’intorno agro-pastorale e il suo ambiente semi-nomade. Questi collegamenti, attraverso il nomadismo, le grandi carovaniere e reti di vie commerciali, che attraverso i deserti hanno collegato nella storia il macro continente euroafroasiatico, estendono lo spazio dell’oasi, le sue interazioni, conoscenze e prodotti, a livello internazionale.
La modernità ha affermato l’inadeguatezza dell’oasi in relazione al progresso. Tuttavia, le oasi si sono perpetuate per millenni come soluzioni vitali e tenaci in ambienti inospitali. Ci dovremmo chiedere piuttosto quanto potrà durare il modello di sviluppo contemporaneo basato sull’accaparramento, distruzione di risorse naturali e lo spreco dell’acqua. Le oasi sono depositarie di una profonda saggezza sinonimo di armonia, economia circolare e amplificazione delle risorse locali. Lo stesso tormento intrinseco alla loro esistenza è un utile avvertimento e campanello d’allarme per il pianeta intero. Nel paesaggio della sete, erosione ed entropia del deserto si conserva la lezione profonda dell’oasi; un patrimonio di conoscenze indispensabili per la ricerca di un nuovo modello basato sulla sostenibilità.
Architetto e urbanista e consulente UNESCO
È consulente UNESCO per le zone aride, la gestione dell’acqua, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo. Coordina per l’UNESCO, la UE e la società no profit da lui fondata IPOGEA piani e progetti sul paesaggio e di restauro degli ecosistemi con tecniche tradizionali per promuovere processi di valorizzazione in tutto il mondo. Tra le sue visioni, realizzazioni e interventi l’iscrizione UNESCO della città di Matera che ha innescato l’enorme successo di questa città fino alla vittoria di Capitale Europea 2019 a cui ha contribuito come membro del Comitato Scientifico e il recupero di Oasi nel Sahara e in Arabia. Fa parte del gruppo di esperti UNESCO sul Paesaggio. È presidente di ICOMOS Italia e creatore della banca dati sulle conoscenze tradizionali. Tra le oltre 150 pubblicazioni in diverse lingue: Atlante d’acqua, conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione, Bollati Boringhieri, 2001; La Piramide Rovesciata, il modello dell’oasi per il pianeta Terra, Bollati Boringhieri, 1995; Giardini di Pietra, i Sassi di Matera e la civiltà mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino, 1993; Sahara giardino sconosciuto, Giunti, 1988.